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Il ritorno dell'anguilla

Non solo il baccalà, anche le anguille sono alla ribalta


Dopo la “rinascita” del baccalà, potrebbe essere arrivato il grande momento dell’anguilla, sempre più presente anche nelle carte di ristoranti prestigiosi (All’Osteria Francescana di Bottura: “Un’anguilla che risale il fiume Po”; al Miramonti l’Altro di Philippe Léveillé “Anguilla alla brace, cipolle e guacamole”). Solo da pochi anni si sono avute risposte più attendibili circa le abitudini riproduttive delle anguille. Certo è che tutte nascono nel mar di Sargassi (Oceano Atlantico), dove avviene la riproduzione di questa specie. Quando le anguille femmine raggiungono l’età riproduttiva, discendono i fiumi per raggiungere il mare, incrociando i maschi che vivono nelle acque salmastre alle foci. L’istinto riproduttivo è talmente forte che le anguille che vivono in laghi o stagni chiusi non esitano a uscire dall’acqua e di notte a raggiungere il fiume o il mare, dove poi subiscono notevoli variazioni. Attraverso percorsi poco noti raggiungono appunto il Mar dei Sargassi in cui avviene la deposizione, dopo la quale muoiono mentre, alla schiusa dell’uovo, il neonato compie lo stesso itinerario di ritorno, già percorso dalla madre.

La femmina di grandi dimensioni viene chiamata “capitone”. Anguilla deriva dal latino “anguis” (serpe): forse proprio per le sembianze fisiche, si credeva fosse il simbolo del demonio e quindi mangiarla, soprattutto in prossimità del Capodanno, significava scacciare il male e propiziare un nuovo anno felice e sereno. Una tradizione diffusa soprattutto in Campania, dove il consumo sale prepotentemente durante il mese di dicembre. Il maschio invece prende il nome di buratello.

In Veneto l’anguilla è conosciuta come “bisata”, in passato cucinata con gli amoi, prugne selvatiche che crescevano spontaneamente da alberi antichi. Tuttora è diffusa in provincia di Treviso, grazie alla Troticoltura Santa Cristina di Quinto di Treviso, dove l’approvvigionamento idrico è costituito in parte da acque di falda e in parte da derivazione dal fiume Sile. Da sempre le anguille rappresentano una risorsa importante per le Valli di Comacchio, un territorio dal fascino particolare, racchiuso tra il Mare Adriatico, il Delta del Po e il Reno. Qui la tradizione di cucinare le anguille è assai lontana nel tempo, tuttora ci sono eccellenti ristoranti, quali “La Capanna di Eraclio” di Codigoro (Ferrara), di cui è chef la bravissima Maria Grazia Soncini. Non solo piatti, ma anche l’arte della marinatura è tuttora praticata dalla “Manifattura dei Marinati”, secondo il procedimento tradizionale che prevede la cottura delle anguille allo spiedo, davanti al fuoco a legna, poi si passa alla marinatura all’interno di recipienti di legno, insieme alla salamoia, quindi confezionata in barattoli. In Italia sono altresì ricercate le anguille della Laguna di Orbetello e di Lesina.

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