Chi brinda con Ferran Adrià
Nel 2013 all'asta da Sotheby's la cantina di elBulli chiuso nel 2011, atteso un risultato di un milione di euro
Chissà cosa ci riserverà il 2014 in cucina. Sarà una nuova rivoluzione o una restaurazione culinaria in piena regola? Perché nel 2014 si farà di nuovo sentire la voce dello chef, creatore della meta cucina (e non della cucina molecolare come molti “ignoranti”, nel significato di chi ignora, continuano ad affermare), ovverosia Ferran Adrià che ha deciso, a metà 2011, di chiudere i battenti del suo elBulli, dando un arrivederci appunto nel 2014. Una pausa di riflessione dopo aver sconvolto tutti i codici della cucina, che ha anche prodotto, tra i suoi imitatori, una rincorsa alla stupefazione che, lasciata in molti casi, alla modestia inventiva di molti cuochi, ha portato alla realizzazione di strampalati guazzabugli, che immolano il piacere del gusto, in nome di un’originalità fine a se stessa.
Mi sono seduto la prima volta al tavolo di Adrià nel luglio 1998, poi altre otto volte, l’ultima, quella che ho chiamato la mia ultima cena, il 27 marzo 2011. Questo perché non volevo in alcun modo perdere il gran finale di Ferran Adrià in attesa di luglio 2014. Il sistema di significazione del cibo che questo chef spagnolo ha proposto in questi anni non è stato riformista, come i piatti della nouvelle cuisine rispetto alla cucina “nazionale” francese, neppure glocal come la “fusion cuisine”, Ferran Adrià ha frantumato i codici della cucina del presente e del passato.
La sua non è cucina, ma meta cucina perché è una rappresentazione metaforica della forma e del gusto. La definizione “meta cucina” nasce dalla mia convinzione che le proposte dello chef catalano siano altro da ciò che nella prassi comune è stata sempre definita “cucina”. Il gusto mantiene comunque un ruolo nella meta cucina di Ferran; lo sollecita eccome, ma non è l’unico fulcro nella costruzione dell’offerta bensì è la sinestesia a diventare protagonista. La destrutturazione degli ingredienti, ricostruiti in maniera non convenzionale, ma rispettosi dei sapori e profumi originari, significa un messaggio preciso: “È il tuo cervello, sono i tuoi sensi che devono farti scoprire cosa stai assaggiando, non è la forma che ti deve condizionare” (il gelato al parmigiano, la polenta e la polvere di cacao ghiacciata ecc). C’è chiaramente una finalità di voler riportare all’origine per condurre il commensale al ricordo, all’archetipo di un sapore, di un profumo. E Ferran Adrià ottiene questo con diverse temperature, caldo freddo, consistenze sorprendenti fino all’uso frequentissimo delle mani invece delle posate, mettendo in gioco così anche il tatto. La forma non ha l’importanza che molti altri chef ricercano attraverso un manierismo imperante: i piatti di Ferran cercano di muovere l’immaginario del commensale per trasmettere segnali al cervello. I suoi aperitivi (dry martini, gin fizz, capirinha), veri prolegomeni della cena, sorprendono, per l’inconsueta forma ma è la sensorialità recepita, dopo l’assaggio che diventa protagonista.
Certo è che Adrià ha sempre volutamente trascurato l’importanza dell’abbinamento cibo-vino, quasi a voler far concentrare tutta l’attenzione sulle sue proposte originali, sebbene la sua carta dei vini non avesse nulla da invidiare alle più blasonate cantine di ristorante. Comunque chiunque avesse voluto abbinare i piatti, o meglio gli assaggi, era libero farlo, ma la varietà e l’alto numero delle proposte (più o meno 46) creava non poche difficoltà, privilegiando le bollicine. Molte suoi assaggi avevano abbinati quasi sempre qualche liquido in modo tale che non si sentisse la mancanza del vino.Eppure la cantina di elBulli è tuttora di grande interesse al punto che verrà battuta all’asta il 3 aprile 2013 ad Hong Kong e il 26 aprile 2013 a New York con la regia di Sotheby’s. Pur apprezzando il vino, Ferran Adrià ha sempre lasciato la cura della cantina al suo socio e amico, Judi Soler, grande appassionato e apprezzato competente soprattutto dei vini francesi della Borgogna, del Bordolese e dello champagne e ovviamente pure degli spagnoli: Sherry, Cava e Rioja. E’ molto nota la sua partecipazione attiva, ogni anno, all’asta “Hospices de Beaune”.
Saranno battute all’asta circa 1400 bottiglie di Borgogna (tra cui diverse annate di Echézeaux, Grand Echézeaux, Richebourg, Romanée St.Vivant, La Tàche, Romanée Conti) per un valore stimato fra 340.000 e 486.000 dollari. Diverse casse e magnum di Chateau Latour 2005 e oltre 500 bottiglie di Lucien Le Moine. Cinque annate di Yquem dal 1989 al 2001 in diversi formati. Saranno oltre mille le bottiglie di Borgogna bianco (soprattutto Montrachet dall’87 al 2004). E ancora circa 2000 bottiglie di vino spagnolo stimate da Sotheby’s tra i 200 mila e i 300 mila dollari.
Sine qua non