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L'orto servito in tavola

Cosa si cela dietro a questa moda che ha invaso dimore domestiche e ristoranti?


Si può però affermare che già da tempo alcune periferie di città italiane sono state “bonificate” dalle coltivazioni spontanee, in molti casi abusive, in altri addirittura regolamentate dalle amministrazioni locali. Del resto, forse può apparire sorprendente, ma Roma risulta essere il più grande comune agricolo d’Europa, con oltre 51 mila ettari di superficie coltivata, pari al 40% del territorio, dove addirittura in alcuni quartieri sono stati regolamentati molti orti. 


E pure a Torino e a Milano l’orticoltura abusiva o regolamentata è in grande crescita. Insomma c’è chi il dna dell’orto lo ha nella storia della propria città, chi invece lo ha scoperto a seguito del fenomeno di costume che si è sviluppato nell’ultimo decennio. 

Comunque sia quel fazzoletto di terra, dove far crescere basilico, rosmarino e salvia a metro zero, fa parte ormai di un modus vivendi che ha contagiato anche chi non ha mai fatto spesa in un mercato.




conoscere il cammino di un cibo (tecnicamente identificato con filiera), chi lo ha partorito; insomma la carta d’identità e lo stato di famiglia di tutto ciò che portano in tavola. E in nome di questa nuova bibbia del mangiar sicuro sono disposti addirittura a preferire le verdure, contaminate dal sicuro inquinamento cittadino, coltivate da loro stessi in terrazza o addirittura ad affittare pezzetti di terra fuori città. E, a seguire, far contratti di abbonamento, con intraprendenti coltivatori che spediscono con regolarità a casa cassette di frutta e verdura stagionali; oppure gruppi di persone (i Gas) che acquistano direttamente dalla produzione. 


Questo trend non poteva non avere ripercussioni sulla ristorazione sebbene già in passato ci fossero locali con il proprio orto, a cominciare dalla Tenda Rossa di Cerbaia (lo ricordo sull’argine di un torrente) o dai Lancellotti di Soliera (oggi Osteria Bohemia a Sozzigalli di Soliera), dove appunto il punto di forza erano alcuni piatti (la misticanza con pera e parmigiano all’aceto balsamico tradizionale di Modena) di Angelo Lancellotti. E poi ancora quell’orto, frutto di ricerche minuziose, dell’Osteria Antichi Sapori di Montegrosso di Andria di Pietro Zito. E sempre in Puglia, proprio recentemente, ha avuto grande risalto il ristorante nell’orto di Peppe Zullo ad Orsara, una soluzione originale da parte di questo cuoco-patron che da sempre ha magnificato il rapporto tra orto e cucina. 


Anche il neo tre stelle Enrico Crippa del Duomo di Alba ha il suo orto da cui trae molte verdure (importanti nella sua cucina) a cominciare dalla sua famosa insalata 21.31.41, così come si può ammirare un orto davvero bello anche alla vista al Marennà di Sorbo Serpico (Avellino), sede dell’azienda vinicola Feudi di San Gregorio, dal duplice obiettivo: servire la cucina di Paolo Barrale, ma al tempo stesso coprire una parte del tetto della cantina. Non di meno interessante è il grande orto, in aperta campagna, dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense dove oltre a fornire il proprio ristorante, le verdure sono anche spedite a domicilio a tanti privati consumatori. 


Quando scoppiano fenomeni di costume, come questo, è chiaro che oltre al verace si sviluppa  il falso ovverosia locali che utilizzano un orto (più o meno vivente) solo come fiore all’occhiello per attrarre appunto il consumatore alla ricerca del metro zero. Purtroppo la legge monetaria di Gresham può anche venire applicata in questo caso (la moneta cattiva scaccia quella buona). Non si può chiudere questo argomento senza ricordare il poeta Tonino Guerra che invocava di creare un orto per ogni casa della Valmarecchia… ma questo miracolo per intero non è avvenuto. Resta però quella straordinaria intuizione dell’orto dei frutti dimenticati di Pennabilli, un luogo da visitare! 


Sine qua non 


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