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Muschi e licheni da leccarsi i baffi

La cucina selvatica dal Nord Europa inizia a dilagare anche in Italia


foraging. Questo termine sta a indicare l’attività di raccolta di cibo vegetale, attraverso l’esplorazione di ambienti naturali quali montagne, argini di fiumi, boschi, spiagge, riconoscendo e selezionando vegetali interi o parti di essi, ritenuti commestibili e adatti al nutrimento. Un tempo il “foraging” era un’attività normale, in qualche caso quotidiana, in altri necessaria, poi lentamente il processo di industrializzazione, la crescita del livello economico hanno relegato la raccolta spontanea in un angolino, continuata da pochi appassionati della natura o da coloro che non avevano altra scelta per mangiare. 
 

Oggi la crescita di conoscenze sull’alimentazione, l’attenzione all’ecologia, alla sostenibilità e a un trend culinario in forte espansione, arrivato soprattutto dal nord Europa, spingono a riscoprire questo sistema ancestrale di procurarsi il cibo. Una “ricchezza” che possiede valenze irrepetibili: è raro, non può essere “seriale” e, soprattutto, permette di scoprire sapori e profumi inusuali. Così salgono alla ribalta muschi, i licheni, le bacche, grazie a cuochi o chef che li riportano nelle tavole, ma i protagonisti sono quei “cercatori” in grado di fare una raccolta consapevole, cosciente e soprattutto coloro  che hanno voglia di alzarsi all’alba e scandagliare montagne e boschi o ricercare negli argini dei fiumi. 


In Italia, una giovane antropologa brianzola, Valeria Mosca, da anni studiosa di scienze alimurgiche e di  etnobotanica, ha creato una piccola impresa rurale “wood*ing” impegnata nella raccolta e fornitura di cibi selvatici, che si avvale anche di collaboratori esperti in grado di valutare la tossicità o meno (non tutto è commestibile in natura) dei prodotti che via via raccoglie in montagna o in altri luoghi. Questi cibi spontanei sembrano offrire ciò che oggi viene richiesto dal consumatore evoluto: naturalità, stagionalità e appunto sostenibilità. Così Valeria Mosca, scarpinando nella zona prealpina e alpina e in  alcune zone costiere dell’ Italia e della Sardegna, porta in cucina il legno della corteccia interna di alcuni alberi, polverizzato e tostato per impasti di pane e dolci (tra cui la farina di betulla per biscotti), resine, linfa di betulla (una bevanda aromatizzata al sambuco), muschi, licheni (da cui si può fare anche il pane), mirtilli rossi, erbe spontanee, faggiole, radici, pesci selvatici (sono circa 200 gli ingredienti scaglionati nelle diverse stagioni offerte da Wood*ing) da cui  possono nascere piatti davvero insoliti con gusti inediti anche per gli onnivori. Il gruppo wood *ing non solo raccoglie i cibi selvatici per cucinare, ma è in grado di proporre corsi teorici  con esercitazioni di  percorsi in montagna (si insegna anche il comportamento corretto che si deve tenere nel rapporto con la natura), preparazioni di piatti, pranzi e cene ad hoc.
 

La tendenza verso la cucina da cibo selvatico è un vento che spira ormai da diversi anni, da quando è balzato alla ribalta il ristorante danese “Noma” di René Redzepi, seguito nella sua  proposizione di cibo selvatico da altri ristoranti in Europa e nel Mondo; in realtà in Danimarca e in Svezia è una mera necessità,  data dall’ offerta del territorio e dalle tradizioni gastronomiche. Altrove è invece una riscoperta di pratiche ancestrali abbandonate forse da secoli . 

La tendenza di questa cucina nordeuropea, che comincia a fare proseliti anche in Italia, sta influenzando in modo rilevante l’inevitabile ricorso al foraging che può sembrare quale banale e possibile raccolta di prodotti spontanei, ma non è così, perché sono necessarie profonde conoscenze alimurgiche, botaniche e tossicologiche, nonché il rispetto dei criteri di raccolta in grado di non danneggiare l’ambiente.

Sine qua non

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