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Renzo Serafini, la luce in tavola

Perché senza una buona luce, non si mangia bene


Il tavolo è il palcoscenico. La mise en place sono le sue quinte. Sono la luce, il lampadario, il faro o la lampada, a scandirne e renderci gradevoli i loro momenti: dall’antipasto al dolce. Il protagonista della rappresentazione a cui partecipiamo a ogni pranzo o cena è, e deve essere, il piatto. È questo il “punto di vista”, l’approccio, del light designer riccionese Renzo Serafini di fronte alla sala da pranzo. Non importa se è quella di casa, di un pub, di un bar o di un ristorante stellato. Senza una buona luce non si mangia bene. “La luce non nasce solo da un bell’oggetto. Posizionare una lampada in un certo modo, all’interno di uno spazio, fa cambiare la visione di quell’ambiente, indipendentemente dal design del prodotto – spiega Renzo Serafini – Illuminare riguarda l’intimità, l’eleganza, la tranquillità. Inserisco sempre le mie lampade in un contesto specifico. La loro luce deve essere calda, avvolgere lo spazio con semplicità e devozione, per ciò cha accade al suo interno”.

Una scelta premiata dal successo tra molti chef stellati. Negli ultimi due anni i progetti luce di serafini sono stati scelti da Antonino Cannavacciuolo, per il suo bistrot di Novara, da Gennaro Esposito con il suo “IT” di “Ibiza”, da Luciano Bifulco nella sua “Braceria” di Ottaviano e da Cristina Fagone, chef del bergamasco “Impronte”. New entry, giusto a inizio di quest’anno, il ristorante romano “Il Pagliaccio” di Anthony Genovese e la nuova stella Michelin riminese, Mariano Guardianelli, con gli ambienti di “Abocar”. E senza dimenticare come il light design di tutti i “caffè Pascucci” in Italia e all’estero siano anche loro illuminati by Serafini. “Il rapporto con la ristorazione è nato naturalmente grazie ai progetti custom che ho realizzato in passato con architetti e arredatori – le sue luci sono alla Dimora delle Balze di Noto, al “Relais San Vigilio” di Bergamo o al nuovo concept hotel capitolino Horti, nel cuore di Trastevere ndr – seguiamo ogni fase del lavoro, dalla progettazione all’installazione, con interventi e prodotti realizzati solo per quel luogo. In un ristorante, dove deve legare in un unico percorso luce, ingresso, sala, cantina, cucina. Lo devi fare partendo da dimensione, posizione degli ambienti, mantenendo sempre il piatto al centro della luce ma rendendo caldo e gradevole la conversazione e l’incontro tra i commensali”.

Un approccio che accompagna da sempre Renzo Serafini. È stato musicista a metà anni Ottanta, quando suonava come chitarrista nei Violet Eves, un gruppo new wave dalle sonorità inconsuete e sofisticate, amato da Pier Vittorio Tondelli, che li vuole alla presentazione del suo romanzo, “Rimini”. L’effetto scenografico delle luci da palco se le porta dietro come esperienza per produrre atmosfere avvolgenti, che delineano con forza lo spazio e suscitano emozione, come sempre deve accadere durante un concerto. Quando, nel 1984, la band si scioglie Renzo va a lavorare per 20 anni nell’azienda di illuminotecnica e impiantistica di famiglia, frequentando cantieri e macinando esperienza e conscendo architetti e designer. La scolta arriva nel 2011, nel mezzo della “tempesta economica perfetta”. Decide di chiudere la sua attività e fare quello che gli piace da sempre: progettare e realizzare le sue lampade e luci. Il resto è cronaca di quelle storie italiane di successo, tra creatività e capacità artigiana. Dai tre dipendenti degli inizi si arriva a 14, con una rete di artigiani del territorio che lavorano con lui e per lui, una factory di fabbri battezzati iron designers, i forgiatori del ferro, mobilieri, montatori, elettricisti, imbianchini. Il 60% dei suoi prodotti va in Italia, il 40% all’estero. Se passeggi per Londra, scopri che le sue lampade sono in esposizione permanente in uno degli shop design più esclusivi delle capitale “Living Space & Partners”, vetrine a Islington, Earl’s Court e Islington. Vicino ai teatri dove Renzo Serafini suonava con i “Violet Eves” trent’anni fa.

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