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Il lato oscuro della birra

Il recente boom dei birrifici artigianali in Italia porta con sé qualche dubbio e perplessità


Per una volta vorrei parlare da consumatore, non come addetto ai lavori né in nessun'altra veste, focalizzare il discorso su ciò che proprio non riesco a farmi piacere quando spendo i miei soldi in birra. La rapidissima e incontrollata ascesa della birra artigianale italiana di questi ultimi anni ha infatti portato con sé tantissime incongruenze che talvolta assumono proporzioni grottesche. Un cliente qualunque non particolarmente esperto - penso a mio padre - si trova spesso spiazzato di fronte ad un prodotto che non conosce e che fa fatica a comprendere.

Partiamo da questo: è inammissibile che, in un Paese di vocazione gastronomica come il nostro, una definizione normativa riconosciuta e condivisa dell'espressione “birra artigianale” non esista. Questo vuoto va a scapito dei prodotti di qualità ma incide in maniera negativa sulla comunicazione del prodotto che giunge al consumatore, spesso caotica e criptica. È ormai ansiogena anche l’inarrestabile conta dei nuovi birrifici; sembra quasi che ognuno degli 8057 comuni italiani ne abbia uno sul proprio territorio, ma non è esattamente così. In un momento tanto favorevole sono in molti ad accodarsi al carro dei vincitori per trarne guadagno. In confidenza un gestore di agriturismo e birraio del Centro Italia mi disse una volta con aria angelica: «Nella nostra zona la birra è talmente famosa che puoi fare pipì nella bottiglia e venderla».Oggi si dice che siano più o meno attivi 700 produttori di birra artigianale, quanti però sorgono da progetti seri ed appassionati e quanti sono approsimative e balzane idee? Per questo è salutare un po' di sana curiosità prima di ordinare una birra.

Si potrebbe migliorare anche la scelta dei naming: quante volte vi è capitato di trovarvi al pub di fronte ad una birra dal nome talmente complicato dal farvi desistere dall'ordinarla? D'altro canto non sono nemmeno più tollerabili quelle birre dai nomi vaghi e dequalificanti come “Bionda”, “Rossa”, “Nera”, “Doppio Malto”. Rispetto alle birre ottenute da ingredienti 100% autoprodotti resto cauto: credo che la diversificazione delle attività, se parliamo di piccole aziende, sia di difficile gestione. Infine direi basta anche alla birra prodotta per forza con l'ingrediente peculiare del territorio. Se sei un birraio di Cerignola non è detto che la tua birra riesca certamente bene se ci aggiungi le buonissime olive di lì... Basta cercare estremi e la caratterizzazione ad ogni costo. Non è forse più opportuno saper prima fare una birra classicona ma  corretta, semplice, precisa e pulita?

(foto: www.wallpaperup.com)

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