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Sia lodato il purè

Un contorno semplice e gustoso, come insegna Robuchon


Lo zampone e il cotechino fanno la comparsa nelle tavole in tempo di festa, soprattutto fra Natale, fine d’anno e la Befana. Un degno compagno di piatto è il purè o purée, di cui confesso una sfrenata passione che mi è costata anche la “reprimenda” del maitre del primo ristorante (Jamin) in Parigi di Joël Robuchon, anni fa.

Questo chef pluristellato (mi pare 32 stelle), che purtroppo ci ha lasciato quando stava per aprire a Milano un suo ristorante, è molto famoso per il suo purè, anche se non solo (dovrei elencare almeno un’altra decina di piatti). Mi soffermo sul purè, qualcuno potrebbe essere sorpreso di questo riconoscimento a un piatto di semplicità familiare. In effetti, chi non lo prepara a casa? Chi non lo ha mai assaggiato da Robuchon, non può capire la incolmabile differenza di gusto e raffinatezza. Non a caso lo chef francese soleva affermare: “la cucina è semplicità che è la cosa più difficile”. Un assioma che dovrebbe far riflettere alcuni sostenitori di cucine creative (compresi molti chef e presunti tali), che traducono la semplicità in banalità e la complessità in eccellenza. Forse per questo motivo il purè è un piatto introvabile nelle cucine stellate in Italia. Ogni qualvolta mi sono seduto in uno dei tanti ristoranti Robuchon, di contro, ho sempre chiesto purè e testina di vitello.

Quella semplice ricetta a base di patate mi ha costretto a chiedere da Jamin, preso alla gola e al cervello, il bis. Di fronte alla mia richiesta già il cameriere aveva mostrato un certo imbarazzo che poi, a una mia nuova e inusuale supplica (tris), ha chiesto l’intervento del maitre. Con molta gentilezza, il professionale capo di sala mi ha spiegato che la cucina di Robuchon non fosse di gola, ma raffinata e di grande tecnica. Di conseguenza non lo ha detto, lo ha pensato, non è di “panza”. Dopo il sermone è comunque arrivata in tavola la terza porzione di purè. Le leggende su questo imperdibile piatto sono tante, a cominciare dalle patate, la cui provenienza sarebbe stata di una coltivazione da un terreno addirittura riscaldato, con una temperatura costante.

In realtà sono patate “ratte”, di piccola dimensione, a forma ovale, con una buccia molto sottile (importante perché si possono sbucciare anche bollenti), dal sapore unico di nocciola e dalla consistenza burrosa. Sono coltivate in particolari terreni agricoli francesi, ma in realtà si possono reperire anche in Italia, nel Viterbese (Perle della Tuscia). Se c’è un segreto nel purè alla Robuchon, è l’utilizzo di un kg di patate con ben 500 grammi di burro di Normandia e 500 g (o ml) di latte. Troppo burro? Riducendolo, e anche il latte al 50%, seguendo la ricetta Robuchon, il purè diventa comunque straordinario, magari accompagnato dal gustoso zampone del macellaio Giovanni Giacobbe di Sassello, come sperimentato nella cena di Capo d’anno.

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