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Per iniziare un cicchetto al Gallo

Nuove segnalazioni nel centro di Pordenone


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Il tratto di strada è lungo, oltrettutto fa freddo, ma a volte questi disagi possono diventare piacevoli quando hai modo di osservare ciò che vedi attorno, di piacevole, e soprattutto guardando in alto di bello. Così pensavo mentre attraversavo, a piedi, sotto la neve, il centro storico, ben tenuto e conservato di Pordenone verso il ristorante “Il Gallo” (via San Marco 10, tel. 0434521610). Una città dove l’influenza mitteleuropea è evidente, come appunto in questo locale storico (la sua apertura pare risalga al 1850), caratterizzato dall’utilizzo del legno, dalle finestre con vetri colorati e dagli intonaci color glicine. E soprattutto segnato dalla sala del caminetto con un caldo focolare.

Il nome curioso, il Gallo, pare sia stato scelto, a suo tempo, perché il locale era collocato all’ingresso della città (è assai vicino al fiume Noncello) e volto verso il sorgere del sole, così come si posiziona appunto il gallo al nascere del giorno. 

Da non molto tempo alla guida del locale c’è una coppia Andrea Spina e Diletta Pitton che ha costruito il menu basato soprattutto sul pesce, a seguito delle loro precedenti esperienze lagunari.

Il mio primo impatto molto allettante è stato con assaggi, purtroppo chiamati finger food (per favore chiamiamoli “cicchetti” o altro): straordinarie le sarde impanate con maionese e salsa tartara, gustoso e originale il baccalà mantecato con pane carasau e salsa prezzolata nonchè la scatoletta di sarde in saor con uvetta e pinoli e il frittulin di laguna.

Di poi tartare di branzino, uova di quaglia, gelatina al nero di seppia e bottarga di muggine, quindi una personale piovra confittata con purea di patata soffiata e salsa prezzemolata, scampi rosolati al rosmarino con patata americana affumicata e crema di pistacchio. Piatti ben eseguiti, originali e piacevoli.

A dir il vero pure la vellutata di topinambur con medaglioni di astice nonché il tataki di tonno rosso con sedano rapa e tartufo nero sono pietanze di Andrea senza sbavature, ma ciò che trovo “stonato” è il ricorso all’astice e all’ ormai onnipresente tonno in una cucina, se vogliamo territoriale o perlomeno con una  sua precisa caratterizzazione.

Una cucina, quella del Gallo, che si sposa molto bene con i bianchi friulani: la mia amata carsica Vitoska (di Ziderich o di Vodopivech o di Kante), la malvasia (di Castello di Rubbia) o gli autoctoni (lo Sciaglin) di quello straordinario “archeologo –viticoltore” che è Emilio Bulfon. Sine qua non 

Davide paolini 

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