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Casa Cecchin: dove il Durello incontra l'ingegno (e un po' di follia)

Un ingegnere, una collina di basalto e una sfida chiamata Durello. Poi, un’idea folle: un cesto che ruota 273 bottiglie in un solo gesto.


 

A Montebello Vicentino, in mezzo a quelle colline che sembrano dipinte dai sogni, c’è una cantina che ha preso il Durello – quel vitigno noto per essere più spigoloso di certe zie alla cena di Natale – e l’ha trasformato in poesia in bottiglia. Si chiama Casa Cecchin, e no, non è la solita azienda agricola: qui dentro si respira passione, visione e un pizzico di follia creativa.

Tutto comincia nel 1973, quando Renato Cecchin – ingegnere di professione, ma con l’anima più da vignaiolo che da ingegnere – decide che il vino non può restare solo una passione domenicale. Compra un terreno ad Agugliana, su una collina piena di promesse e basalto, e pianta il suo primo vigneto. Non un vitigno qualunque, attenzione: lui sceglie la Durella, quella varietà rustica dei Monti Lessini che all’epoca nessuno voleva più, perché dava vini spigolosi, acerbi, “difficili”. Ma Renato no, lui la guarda e le dice: “Tu sei la mia sfida.”

Due anni dopo, nel 1975, con la determinazione di chi sa usare una pala oltre che la calcolatrice, scava tra le rocce nere di basalto e costruisce casa e cantina. Un unico corpo, un’unica visione. Intorno, coltiva Durella e Garganega, ma anche ulivi, ginestre, piante da frutto. Insomma, crea un piccolo ecosistema dove ogni cosa ha il suo perché, e il vino non è mai solo vino, ma parte di un paesaggio che parla.

Nel 1978 le prime bottiglie sono pronte: Durello e Gambellara Classico.

Dopo un flirt con il Metodo Martinotti, nel 1989 molla tutto e si dedica anima e cuore al Metodo Classico, e firma la sua prima vendemmia di Lessini Durello Metodo Classico. Una scelta di campo, netta, definitiva. Da quel momento, solo Metodo Classico. Solo il tempo, i lieviti, la pazienza. Solo Durella, ma trattata come una regina.

Ma non si accontenta. Nel '92, si inventa un cesto esagonale che con un solo movimento fa ruotare ben 273 bottiglie durante il remuage. Lo chiama “Esagono Cecchin” – così, con quella sicurezza che hanno solo gli inventori e gli zii che cucinano senza ricetta – e lo brevetta, ovviamente.

E qui la storia poteva già finire con un bell’applauso e un brindisi. Ma no. Perché nel 2001 entra in scena Roberta, la figlia. Giovane, intraprendente e con qualche idea che fa subito alzare il sopracciglio al papà:un durello fermo più strutturato, insomma, una visione tutta sua. Renato, uomo pratico e metodico, all’inizio prende di petto le innovative idee, ma con il tempo si lascia convincere. Perché Roberta non solo ha idee, ma ha anche il talento per trasformarle in realtà. E così, piano piano, la cantina cambia pelle. Mantiene l’anima artigianale, certo, ma si apre a nuovi orizzonti, sperimenta, azzarda. E vince.

Nasce nel 2008 Pietralava.

Oggi Casa Cecchin è una di quelle realtà che ti fa venir voglia di mollare tutto e andare a vendemmiare con loro. I vini parlano chiaro: il “ Monti Lessini Riserva dell’ingegnere. ” sta 60 mesi sui lieviti e riesce nell’impresa di essere profondo, elegante e minerale come pochi altri; il “Nostrum”, con i suoi 36 mesi di affinamento, è un Metodo Classico da meditazione – o da serata speciale, ma anche da brunch della domenica, perché no. E poi c’è il “Pietralava”, un Durello fermo: minerale, sapido, deciso. Un vino che ti guarda negli occhi e non abbassa lo sguardo. E il “Mandégolo”? Un piccolo gioiello sur lie, torbido quanto basta per farti capire che la verità, a volte, non è filtrata.

La cosa bella è che qui ogni bottiglia racconta una storia: di territorio, di famiglia, di scelte coraggiose. Visitare Casa Cecchin non è solo degustare vino – anche se quello, da solo, basterebbe a convincerti a tornare – è entrare in un mondo dove l’artigianalità non è una parola di moda, ma un modo di vivere. Dove un padre e una figlia e la nipote hanno trovato un equilibrio tra innovazione e radici, tra metodo e intuizione. Dove l’Esagono gira ancora, ma adesso lo fa con un sorriso in più.

Se vi capita di passare da quelle parti, non fate l’errore di tirare dritto. Fermatevi. Entrate. Ascoltate. E soprattutto, brindate. Al Durello. All’esagono. E a chi ha il coraggio di fare le cose a modo suo.

 

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