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A me mi piace la cucina semplice

Basta con svolazzi, coriandoli e menù illeggibili


Gli anni passano, le scelte si fanno sempre più definitive, in special modo nelle scorribande di “a me mi piace”. Confesso ormai di preferire, in modo definitivo, la cucina semplice senza svolazzi e coriandoli, rispetto alle triturazioni cervellotiche di disintegrazione della materia prima e poi, come dal cappello di un prestidigitatore, farne uscire colori e forme diverse.

Una scuola che ha avuto un caposcuola straordinario come lo spagnolo, Ferran Adrià, che ha rotto i codici della cucina. Molti dei suoi imitatori però, come spesso succede ai discepoli in genere, sono dei veri cuochi pasticcioni. La cucina della trasformazione dell’ingrediente mi ricorda il miracolo di Canaan, a volte però non riesce e, soprattutto chi siede a tavola, attualmente non ha più bisogno di essere sorpreso. Molti, tanti, infatti vogliono ritrovare nel piatto, oltre al gusto, valori quali la trasparenza, la sostenibilità delle produzioni alimentari utilizzate. Non è più il tempo di aria fritta! Però, allo stesso tempo, mi rendo conto che, se il cibo per essere buono da mangiare, deve anche essere “buono da pensare”, allora non è tanto di alimenti che noi ci nutriamo, quanto di idee, di immaginario e di significati prodotti dalla nostra cultura. Di conseguenza non posso negare la realtà di scuole culinarie che vanno oltre i bisogni nutrizionali e i piaceri sensoriali, per seguirne le tendenze.

Così vedo chef, faccio assaggi, scrivo, memorizzo, gusto tagliatelle al ragù, tortelli, lasagne, trippa, coniglio alla cacciatora, zuppa inglese con la gola e metabolizzo anche l’altro tipo di cibo, con il cervello e la fantasia. Ho il sacrosanto dovere di assaggiare e di cercare di capire chi fa anche ricerca, con impegno e sacrificio economico, allo stesso tempo però non sopporto i dilettanti allo sbaraglio, che scambiano la “fusion” con la “confusion”, o pensano di essere creativi perché dentro la pasta, in luogo del ripieno tradizionale, mettono altro.

Dopo aver assaggiato un piatto realizzato con grande tecnica ed eccellenti ingredienti, presentato in forma cromatico-architettonica, non è morale da parte mia non riflettere su ciò che ho mangiato e cercarne difetti o gli eventuali pregi, siano essi la tecnica o una raggiunta armonia dei tanti sapori impiegati. A volte, purtroppo mi perdo già alla lettura del menu, quando vengono elencati tante materie prime, come mi è successo recentemente: muscoli, triglia, gamberi, crema di patate al nero di seppia, vegetali e olio al mandarino. Oppure quando un piatto presenta l’expo universale dell’abbondanza economica: tutti insieme caviale, foie gras, aragosta e compagnia cantando. Che dire, non è facile rendere armonica tanta grazia di dio perché tutto ciò che è biologicamente commestibile, a volte, non lo è gastronomicamente anche se lo chef (o ritenuto tale) ha stelle, stelline e cappelli.

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