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Ci mancherai, Fabio Picchi

Un omaggio dovuto a Fabio Picchi, di cui ci mancherà tutto: la dialettica, la cultura, lo sguardo intelligente e sensibile, sempre teso al futuro



Sorrideva quando lo provocavo dicendogli che ormai, quella piazzetta, sede dei suoi locali, vicino al mercato di Sant’Ambrogio, dovesse titolarsi Cibreo square”.

Un omaggio dovuto a Fabio Picchi, che nel tempo (a partire dal 1979) ha “inventato” 5 locali con il marchio “Cibreo”, difeso, a suo tempo, anche da un tentativo di plagio negli Stati Uniti per la sua riconosciuta notorietà.
Fabio però non si è accontentato di creare un marchio seriale: ciascun locale è diverso, frutto della sua creatività, nonostante tutti affondino le radici nella cucina Toscana: semplice, stagionale e di mercato.
Fabio Picchi scomparso recentemente

Una cucina colta e aperta

La cucina per il Picchi non è solo una predisposizione, una tecnica, ma un’espressione di cultura, una lettura dei mutamenti di costume, così si spiega la creazione del Cibleo, dove un tortello incontra un condimento giapponese o cinese.

Già nella Trattoria, in passato, sono apparsi il cous cous e il Kebab interpretati alla toscana da Fabio.
Le sue presentazioni del menu sono sempre state un capolavoro, non banali in canto gregoriano, come quelle di molti ristoranti che se la tirano, ma ricche di storie, aneddoti e cultura materiale, che facevano capitolare il cliente.

Le sue presenze in tv o in radio, grazie a un linguaggio colto, alla voce inconfondibile e alla sua vis polemica, sempre e ovunque, lo hanno consacrato “personaggio” perché “sapeva” e non bleffava.

Fabio Picchi e la rivoluzione della Trattoria

Il primus Cibreo inter pares ha “rivoluzionato” la Trattoria fiorentina (con la “T”) perché è riuscito a uscire dagli stereotipi della ribollita e della bistecca, offrendo molte ricette dimenticate dalla ristorazione, riviste senza modificarne il Dna della toscanità.

La Trattoria all’apice del successo ha generato il primo “satellite”, ovverosia la trattoria (con la t minuscola), dove poter gustare alcuni dei piatti, già nel menu della sorella maggiore, ma in un locale con meno pretese e senza tovaglia. Questa trattoria, tra l’altro, è stata antesignana del famoso “next door” di Nobu a New York e di tutti quei nuovi locali di chef chiamati "easy cuisine".

Poi ancora ha dato vita al Teatro del Sale dove cultura (la direzione artistica è della moglie, l’attrice Maria Cassi) e ricette si fondono con la voce di ragazzi down e di migranti in cucina e in sala.

La sua lunga ricerca dei prodotti e delle materie prime, negli ultimi anni, lo ha spinto a creare il suo gioiello: C.bio, dove Fabio forse ha realizzato il sogno di offrire “un cibo buono, italiano e onesto”, non più cucinato, ma nella sua forma primordiale di materia e di prodotto.

Chissà quante altre idee aveva nel cassetto Fabio, ci mancherà soprattutto la sua dialettica, il confronto sempre serrato e il suo sguardo al futuro, sensibile e intelligente.

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