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Io, un calabrese innamorato della mia terra, vi racconto l’arancia che cresce tra le vigne

Dolce, tardiva e unica: l’arancia calabrese che racconta storia, tradizione e biodiversità diventa Presidio Slow Food.


C’è un angolo della Calabria che profuma di mare, agrumi e memoria. È Trebisacce, nella mia terra di Calabria. E oggi voglio raccontarvi una storia speciale: quella della bionda tardiva di Trebisacce, un’arancia che arriva quando nessuno se l’aspetta, che cresce tra vecchie vigne e che ora, finalmente, è diventata Presidio Slow Food.

Non è solo una questione di gusto (anche se credetemi, è buonissima). È qualcosa di più profondo: è il riscatto di un’identità che stavamo per perdere.

Bionda tardiva di Trebisacce


Da vigneti a agrumeti: il nostro paesaggio che cambia (ma non dimentica)

Da bambino, sentivo i vecchi parlare delle “vigne”, ma in realtà vedevo solo alberi di arance. Solo più tardi ho capito: quei terreni erano davvero vigneti, fino a quando l’arrivo della fillossera, nell’Ottocento, li costrinse a cambiare volto. E proprio da quel cambiamento è nato il nostro “biondo”, come lo chiamiamo da sempre.

A Trebisacce il clima è un alleato: da un lato il mare Ionio, dall’altro le montagne del Pollino che ci proteggono dal freddo. Il risultato? Un’arancia che matura lentamente, restando sulla pianta fino a maggio o giugno. Una rarità assoluta nel mondo degli agrumi.


Un’arancia che sa di casa

La prima volta che ho assaggiato una bionda tardiva appena colta, ero con mio padre. La spremuta era dolcissima, profumata, e con un solo frutto riempivamo un bicchiere intero. Non serviva zucchero, né niente altro. Solo terra, sole e pazienza.

Oggi sono fiero di dirvi che otto produttori resistenti, caparbi come solo i calabresi sanno essere, stanno coltivando circa quattro ettari di questi agrumeti. I terreni sono ancora spezzettati — in “cozze”, come le chiamano qui, piccole unità da 100 metri quadri — ma si sente forte il desiderio di ripartire.


Non solo spremuta: la bionda in cucina (e non solo)

Da calabrese e buongustaio, vi dico: la bionda tardiva di Trebisacce è un ingrediente da chef. L’ho vista trasformarsi in marmellate incredibili, finire in crostate profumate, dare carattere a risotti agrumati e persino entrare negli impasti dei taralli.

E non è finita: la buccia sottile e gli oli essenziali la rendono perfetta anche per cosmetici naturali. Ecco un frutto che non si spreca, che si reinventa, che profuma di futuro.

Bionda tardiva di Trebisacce


Il riconoscimento che aspettavamo: Presidio Slow Food

Quando ho saputo che la nostra arancia era diventata Presidio Slow Food, ho sorriso. È il segno che ce l’abbiamo fatta, almeno un po’. Che la nostra Biodiversità calabrese è viva, che le nostre tradizioni contadine non sono andate perse.

Come dice Caterina Diana, referente del Presidio: “Se non fossimo intervenuti, la bionda sarebbe sparita. Ora invece abbiamo una nuova comunità che ci crede davvero.” Io ne faccio parte, orgogliosamente.


Un viaggio tra agrumi e identità

Se stai programmando un viaggio gastronomico, metti Trebisacce sulla mappa. Vieni in primavera, quando le arance sono pronte, i fichi iniziano a spuntare, e il mare ti chiama da lontano. Bevi una spremuta di bionda tardiva e ascolta chi la coltiva: scoprirai che qui ogni pianta racconta una storia.

Io, nel mio piccolo, continuerò a raccontarla. Perché questa arancia non è solo un frutto. È la mia terra. È la nostra resistenza agricola. È un modo dolce, profondo, vero, per dire: la Calabria c’è. E ha ancora tanto da offrire.

Trebisacce


Segnatelo: arancia bionda tardiva di Trebisacce. Dolce come un ricordo, forte come la nostra gente. Da gustare, da difendere, da raccontare.

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