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Giocare a mangiar bene

Etica, ironia e fluidità sono le parole chiave per descrivere la cucina di Max Alajmo



Uno spettro si aggira tra pentole e fornelli, si tratta dell’aggettivo “etico”. Ormai le etichette riferite al pianeta cibo sono tante, cresciute al ritmo delle trasmissioni tv, direi chi più ne ha, più ne metta di interpretazioni di cucina etica. Per questo ho voluto comprendere nei diversi vocabolari il significato da cui emerge: “ricerca di ciò che è bene per l’uomo … Professionalità, coscienziosità, scrupolosità nel lavoro di ciò che è giusto fare e non fare”. Mi sembra chiaro che l’attività del cucinare, considerato che coinvolge chi consuma un pasto o una cena, dovrebbe essere sempre etica nel rispetto dell’altro, indipendentemente dalla filosofia culinaria seguita dal cuoco, dal cuciniere, dallo chef e non essere assoluta, come invece appare da molti testi di cucina vegana che nel titolo si appropriano della definizione “etica”.

Alajmo

Ristorante Le Calandre

Da distinguere dunque, ci sono condotte etiche nello svolgimento del proprio lavoro e comportamenti etici nel sociale. Questo aggettivo mi è frullato in testa, più di altre volte, una sera d’ottobre di quest’anno mentre osservavo ciò che succedeva al Ristorante Le Calandre, innanzitutto gli atteggiamenti dello chef patron Massimiliano Alajmo. Un occhio alle cucine, quando sono visibili, è determinante per carpire il clima di un locale perché si arguisce il rispetto dello chef nei confronti dei suoi collaboratori: dal suo vice fino al lavapiatti. Non solo, ma nel locale padovano, a fine giornata, si celebra una bicchierata, quasi a voler mettere tutti sullo stesso piano della fatica.

Max Alajmo

È chiaro che non sia il solo ristorante con queste caratteristiche, ma alle Calandre l’atmosfera è empatica perché la disciplina non è ottenuta da un clima gerarchico. La mia simpatia, oltre ai piatti naturalmente, per Max Alajmo è per il suo grande senso dell’ironia, quasi non prendersi sul serio(in cucina però non scherza), tralasciare di  mettersi in mostra con i media, con la tv, insomma voler essere considerato per ciò che produce, frutto di tanta ricerca e sperimentazione, dove scava continuamente gli ingredienti per tirarne fuori la naturalezza.

Max Alajmo. Cucina

La cucina come gioco e il piatto come esperienza

Non so perché, ma mi viene spontaneo, mentre penso a Max, di scrivere it’s a joke, questo perché alcune sue proposte appaiono così, ma sotto sotto sono il risultato di un percorso. Ebbene, ricordo una sera che mi sottopose a un’esperienza, mi servì carne cruda da mangiare con le mani, mi piazzò davanti a uno specchio dove osservarmi, tappi alle orecchie, così “conciato”dovevo gustare lentamente. A prima vista il tutto mi parve imbarazzante, insomma non capivo, ma dopo pochi minuti mi fu chiarissimo il senso: non avevo mai mangiato con tanta attenzione a ciò che introitavo.

Non solo, il mangiare con le dita fa sì che si riportino al naso i profumi e ciò risveglia una fruizione infantile che è propria della memoria del cibo (così “I cannelloni croccanti con ricotta e mozzarella di bufala” o ancora le moeche fritte con salsa alla curcuma). Potrei continuare ancora con l’articolata serie del “Gioccolato”, con la strepitosa “Mozzarella di mandorle”, il “Pipe libre”, e ancora con il recente “Intro”, o gioco al cioccolato 2017, con l’invito alla trasgressione, così come continuamente esorta all’uso della mani o alla scarpetta (tra cui l’appetizer pane e olio o scarpetta di canocchie, carciofi e bottarga, di cui addirittura ha proposto un apposito supporto in vetro del maestro vetraio Lunardon o ancora il tutto servito su un foglio trasparente.

La ricerca come fluidità

Quasi voler spogliare di tutti gli orpelli la proposta, in cui la sottrazione prevale sulle aggiunte fuori luogo. Sono davvero tante le proposte intelligenti sotto forma di gioco di Max, ma la sua eticità in cucina emerge nella ricerca di utilizzo di ingredienti salutari. A cominciare dall’acqua come esaltatore del gusto (per molti forse un’eresia gastronomica). In pasticceria è stato un antesignano nell’ utilizzo dell’olio d’oliva extra vergine in luogo del burro, le sue collezione di panettoni colorati non sono una trovata pubblicitaria,  mostrano un impegno alla ricerca di sapori e profumi insiti nella natura stessa degli ingredienti utilizzati, non certo finalizzati allo stravolgimento della loro essenza.

Max ha definito questa sua ricerca con un termine insolito nel linguaggio culinario: “fluidità”, ovverosia abbandono del cuoco alla materia, dei cui aromi il piatto è ricco. Una conferma nel superlativo “spaghettoni Benedetto Cavalieri con spremuta di olio mediterraneo”, cioè una spremitura di olive nere con finocchietto e origano, semi, salsa di ricotta alla menta e salsa di cipolle. Un capitolo importante riguarda il risotto allo zafferano e polvere di liquirizia dove, per primo, ha portato innovazioni che hanno fatto scuola (fermo restando il risotto giallo con oro di Gualtiero Marchesi) che continuano nel tempo in varie versioni (recente il risotto allo zafferano, liquirizia, rosmarino, finferli e cardoncelli). Sono tanti i piatti assaggiati nel tempo, non gli perdono il “cappuccino di seppie al nero” perché, usando quel termine in modo improprio, ha generato una marea di cappuccini salati, spesso improbabili, come lo sono al mattino alcune brodaglie di baristi incapaci.    

Max Alajmo. Menù

Il senso dell'etica

Solista, ma non solipsista come molti chef, questo ex giovane primatista di stelle (primo a togliere la tovaglia dai tavoli, ricorrendo a un legno più igienico), è difficile inquadrarlo nella Ragion della Critica gastronomica perché non è Avanguardia, Molecolare, né Fusion o Post moderno, ma uno chef che cerca ovunque un gusto materico e rotondo, nuove consistenze senza modificare la molecola, attraverso un’applicazione maniacale. Etico è anche rispettare non solo la materia, ma soprattutto i colleghi quando inserisce la paternità dei piatti da cui si prende l’idea o l’ispirazione.

Uno sport poco diffuso in Italia (penso allo chef tra i più famosi al mondo: Paul Bocuse quando scrisse nel menu “crema alla catalana di Sirio Maccioni”),  invece praticato da Max con la citazione di Fulvio Pierangelini, di Aimo e Nadia e di Sirio Maccioni. Etico è un aggettivo soprattutto verso il sociale, oggi a dir il vero, proprio di alcuni chef (tra cui Massimo Bottura, Norbert Niederkofler), autori di  importanti iniziative benefiche, di cui  esiste anche un premio internazionale del “Basque Culinary Center”. Max e Raffaele Alajmo e famiglia già da anni hanno promosso una raccolta consistente di fondi, prima con “Gusto per la ricerca”, poi con “Tavoli Trasparenti”.

Contatti

RISTORANTE LE CALANDRE

via Liguria 1, Sarmeola di Rubano (PD)
049.630303
info@alajmo.it
www.alajmo.it

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