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Il sogno di Morini al San Domenico di Imola

Le idee originali e in controtendenza di Morini


Lo scenario della ristorazione italiana è stato segnato, a partire dagli anni Settanta, da alcuni chef, quali Gualtiero Marchesi. Non sono mancati però “patron” illuminati, che hanno pesantemente caratterizzato quegli anni. In primis Gianluigi Morini (che purtroppo ci ha lasciato recentemente), creatore del San Domenico di Imola, locale tuttora attivo, che ha segnato una pagina importante in Italia.

Una bella storia, mi viene di forzare e definirla favola, quella di Morini, un dandy nello stile e nell’abbigliamento. Mentre faceva il ragioniere in una banca locale, sognava di aprire un ristorante sul modello dei grandi stellati francesi.
“La grande cucina nasce internazionale”, scrive Morini, “quella tradizionale cade troppo spesso nel regionalismo e, per troppi secoli, l’Italia è stata chiusa e divisa…Credo che la cucina regionale sia in fondo alquanto povera: i piatti della nostra tradizione sono il frutto di una cronica mancanza di materie prime” (negli anni Ottanta/Novanta però lo chef Valentino ha recuperato piatti della tradizione italiana).

Le fantasie di questo sognatore si sono realizzate nel 1970, quando ha lasciato il posto fisso e ha aperto il ristorante in un ex convento, acquistato a suo tempo dal nonno, che esercitava l’arte del norcino, nonché del vinificatore. Le idee di Morini sono originali e in controtendenza, per un periodo in cui in Italia si affermava “la Linea Italia in cucina”, in contrapposizione alla Nouvelle Cuisine. Questo coraggioso patron, sempre pronto al baciamano, ai modi eleganti, realizza al San Domenico una straordinaria cantina, una delle rare negli anni Settanta/Ottanta, ricca soprattutto di grandi champagne, vini di Borgogna e di Bordeaux. Le sue idee in cucina vengono realizzate, prima con un giovanissimo Valentino Mercattilii, a cui permette esperienze dai più grandi chef francesi, poi affiancandogli uno chef, tuttora forse poco conosciuto in Italia, ma di straordinario valore, come Nino Bergese. L’accoppiata porta il San Domenico a due stelle Michelin.

Il ristorante offre una cucina classica, basata sulle lunghe cotture, sui fondi, caratteristiche della tradizione francese. Un piatto diventa “cult”: l’uovo in raviolo (burro di malga, parmigiano dolce e tartufo bianco), tuttora in carta, cucinato da Massimiliano Mascia (nipote di Valentino). Tra le altre originalità, ideate da Morini, mi ha sempre colpito, da una vecchia abitudine delle famiglie aristocratiche. Prima di servire il menù, una proposta calda: in inverno, spesso un brodo e, fresca in estate, a base di frutta, melone e fragoline di bosco annaffiata di Porto.
Non posso concludere se non con un aneddoto personale: Morini pretendeva che le eleganti divise delle cameriere, in raso nero e colletto bianco, fossero completate dal reggicalze. Una sera, a cena, con il pilota Alessandro Nannini, alla sua manifesta incredulità, il patron fece alzare la gonna a una cameriera per dimostrarlo.

foto: Ristorante San Domenico

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