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L'agricoltura ferita dalle scosse

Ritrovare l'identità territoriale messa a dura prova dal terremoto. Riusciremo a ritrovare la nostra identità?



Sei assorto nelle tue cose, sul lavoro, magari a cercare di risolvere o capire situazioni di cui ti interessi per senso del dovere e di responsabilità.

Uno sguardo alla neve, che cade ancora e il pensiero fisso su quella povera gente isolata dalle stesse istituzioni prima ancora che dal clima. Una sensazione disperata e disastrosa già di suo.

Per fortuna quel problema che avevi a lavoro sembra appianarsi da solo, o quasi, e te ne senti immeritatamente felice per quanto non riesci a dare un senso al perché sei lì.
Mungitura
Nel frattempo ha smesso di nevicare, sospiri e pensi a quegli allevatori testardi e aspri come la montagna, che hanno come loro 'casa'. Inevitabilmente ripercorri i ricordi di anni passati, non molti in effetti anche se oggi sembrano un'eternità.

I profumi del formaggio fresco dentro l'aria tagliente dei primi mattini di primavera, l'acquacotta, la colazione dei pastori che a Castel Sant'Angelo servivano da 'Il Navigante' alle dieci di mattina. Le fette di pane caldo col ciauscolo, le risate grasse della gente semplice di montagna e le bestemmie urlate per una briscola non calata al bar.

Sorridi e pensi che quel che siamo sta dentro l'anima di quel tipo di vita e che, per quanto tecnologicamente avanzato, il sistema di prenotazione automatica dei fast food non potrà mai sostituire la lentezza rigenerante di questi luoghi. Un sorriso spontaneo si palesa sullo specchio del monitor per quei ricordi, malinconici, ma vivi.

L'agricoltura con il terremoto

Poi una scossa di oltre cinque gradi richter ti rabbrividisce dentro. Il senso di inutilità su quello che sto facendo e dove sono percuote l'anima, chiedendomi chi sono e a cosa serva uno stipendio speso in tasse e vestiti firmati fatti in Corea.

Per quale assurdo motivo contribuisco coi miei egoismi a far morire un'economia reale? Vivo, come tanti altri, una vita proiettata verso un futuro che non arriva mai, che giustifica il proprio essere col messaggino solidale, incrementando le casse degli aiuti gestiti da uno stato criminale coadiuvato da enti, consulenti e puttane inutili quanto ormai troppo spesso dannosi.

Il susseguirsi delle scosse mi ha reso un senso di sconforto personale, più forte di sempre perché le vittime di questa sciagura sono quelli che fanno qualcosa di utile per tutti. Ci ricordano chi siamo veramente. Sono allevatori per lo più, il loro mestiere è uno stile di vita umile, ma soprattutto utile anche a noi gente dei paesotti a valle, che quando vediamo mungere una pecora da un pastore è un evento.

Mi chiedo se Dio esiste e perché li sta lasciando soli con la loro testardaggine, giusta oggi più che mai, sacrosanta, lasciati in disperata disparte da tutti i politici dell'inettitudine, somari insensati del dovere istituzionale.

Dovrebbero aiutarli, creare, se non li avessero i mezzi per far fronte a questo dramma. Invece niente, solo proclami! La vergogna non tocca a questi uomini della politica becera e serva di interessi finanziari e bancari, li spinge solo verso un aumento del livello di esposizione mediatica, verso l'auto demolizione di loro stessi.

Gli interessi di chi porta avanti l'economica reale e identitaria non è un argomento da burocrati di uno stato fallito. Il disastro dei proclami è peggiore delle stesse sciagure sismiche sommate alla neve. La mole delle attività agroartigianali che si stanno lasciando morire conta aspetti devastanti. Per questo è importante che la gente si svegli dal torpore e ricominci a vivere per il presente, cercando di migliorare un domani che altrimenti rischia di non arrivare mai.

La stessa sensazione che ritorna da cinque mesi a questa parte. Vorrei tanto che invece venisse ritrovata la nostra identità!

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