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Casseruola da chef

Paolo Lopriore pioniere della cucina da condividere. Il suo più grande difetto? Essere sempre "avanguardia"



Da condividere, al centro della tavola… Sono queste ormai le parole d’ordine all’orizzonte.

In un breve lasso di tempo torneranno sulle tavole dei locali casseruole e zuppiere in luogo di ceramiche griffate. Un trend prossimo venturo che riempirà pagine di commenti, foto e interviste, soprattutto nel web.

Così, via via, leggeremo articoli, news (e molti per sentito dire) che ci racconteranno la filosofia della casseruola (da non scambiare con la cazzeruola...) come proveniente da Paesi dove la cucina è un optional, diffusa dallo chef dal nome esotico, la cui fama dura l'espace d’un matin...
Paolo Lopriore

La condivisione a tavola

È la stampa bellezza! Purtroppo, per chi ha occhi solo al di là delle Alpi e dell’Oceano, la condivisione a tavola sembra essere un retaggio della famiglia italiana. Una modalità trasmessa poi nelle osterie e nelle trattorie, a cominciare dai variopinti antipasti territoriali.

La condivisione non è nelle corde della haute cuisine, per carità toglie punti alla creatività (su cui si basa inopinatamente il prezzo del menu), ma come qualche volta accade abbiamo una "rara avis" che ha riproposto questa modalità senza precederla con “rosari" o “canti gregoriani" recitati da maitre presuntuosi. 

Paolo Lopriore

Il neo pioniere è un grande cuciniere: Paolo Lopriore. Il suo più grande difetto è di essere sempre "avanguardia", anzi "Retrotopia" (dall’ultimo Z. Bauman) al Portico di Appiano Gentile, di conseguenza un incompreso e spesso "bastonato dalle critiche".

Forse a Lui non importa essere alla ribalta perché è preso dal porre al centro della sua cucina il sapore dei piatti. La casseruola, con a lato le diverse costellazioni di condimento, è un modo per rispettare i gusti del commensale e al tempo stesso per poter offrire opzioni diverse.

Ancor più sorprendente e coraggioso quando il "player" della tavola è la pizza fritta o una melanzana alla scapece o crema di spinaci e patate o il riso in cagnone o i ravioli ripieni di pane e pecorino. Piatti poveri, ma grondanti di sapore.

Il suo credo è far da mangiare, ponendo in secondo piano l’alfabeto mediatico (sì chef, impiattare, i cromatismi), anzi mostra molto rispetto verso i collaboratori.

Non urla, non strilla, si fa in quattro per sopperire laddove gli altri arrancano.

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