Il latte che beviamo? Pochi lo conoscono davvero
Un'indagine svela la scarsa conoscenza degli italiani su latte, benessere animale, sostenibilità e prodotti vegetali.
Il latte è uno di quegli alimenti che troviamo ogni giorno sulle nostre tavole. Lo versiamo nel caffè, lo usiamo per cucinare, lo beviamo a colazione o lo scegliamo nelle sue mille versioni vegetali. Eppure, quanti di noi sanno davvero cosa c’è dentro un bicchiere di latte?
Una recente indagine dell’Osservatorio di CremonaFiere, condotta su oltre mille persone nella provincia di Cremona, ha messo in luce una verità un po’ scomoda: conosciamo molto poco il latte che consumiamo. L’obiettivo dello studio era capire quanto i cittadini fossero informati su temi centrali come il benessere animale, la sostenibilità, la tecnologia in agricoltura, la nutrizione e persino le alternative vegetali.
Il benessere animale: ci interessa, ma non troppo
Partiamo da un dato che, almeno in parte, rassicura: la maggioranza degli intervistati riconosce che il benessere animale non è solo assenza di malattie, ma anche libertà da fame, sete e stress. Tuttavia, la consapevolezza si ferma spesso alla teoria. Infatti, anche se oltre il 65% si dichiara attento al benessere animale quando fa la spesa, solo il 5% è disposto a spendere qualcosa in più per prodotti certificati in questo senso. Insomma, ci interessa, ma non abbastanza da farcelo pesare sul portafoglio.
Sostenibilità? Sì, ma che non costi
Lo stesso vale per la sostenibilità ambientale. È un tema caldo, tutti ne parlano, ma quando si tratta di sostenere economicamente le aziende che investono in pratiche più green, l’80% degli intervistati fa un passo indietro. Solo il 3% si dice disposto a pagare di più per un latte prodotto in modo più sostenibile. Forse il messaggio non è ancora arrivato forte e chiaro: ogni scelta a scaffale ha un impatto, anche minimo, su ambiente e filiera.
Tecnologia: fra confusione e sospetto
Un altro aspetto emerso dall’indagine riguarda le tecnologie applicate negli allevamenti. Oggi, l’agricoltura e la zootecnia utilizzano strumenti avanzati come sensori, chip RFID e persino intelligenza artificiale per monitorare la salute degli animali e migliorare la qualità del prodotto. Eppure, molti consumatori vedono questi strumenti solo come un modo per aumentare i profitti. Alcuni pensano addirittura che i droni servano a portare il cibo alle mucche. Una visione quasi da fantascienza, ma che dimostra quanto sia ancora scarsa l’informazione.
E il latte vegetale?
Anche il mondo delle alternative vegetali al latte è avvolto da una certa nebbia. Oggi possiamo scegliere tra bevande di soia, mandorla, avena, riso, cocco… eppure, secondo l’indagine, gran parte degli italiani non conosce le caratteristiche nutrizionali, anallergiche o etiche di questi prodotti. E questo è un limite, soprattutto per chi cerca soluzioni diverse per motivi di salute, gusto o scelta personale.
La fiducia nella filiera è bassa
Il dato forse più preoccupante riguarda la percezione degli attori della filiera del latte. Allevatori, aziende di trasformazione, industrie alimentari: visti con diffidenza, percepiti come più interessati al guadagno che alla qualità. Una sfiducia che rischia di penalizzare anche quelle realtà che lavorano in modo etico, sostenibile e trasparente. Servirebbe più comunicazione, più apertura, più dialogo.
Verso una maggiore consapevolezza
Per affrontare questo divario tra percezione e realtà, l’Osservatorio di CremonaFiere presenterà tutti i risultati emersi durante l’evento “Il Gusto di Saperlo”, in programma il 28 novembre alle Fiere Zootecniche Internazionali di Cremona. Sarà un’occasione per confrontarsi, informarsi e – si spera – abbattere pregiudizi e false convinzioni.
Perché tutto questo interessa i food lovers?
Se ami il cibo, se ti piace conoscere da dove arriva ciò che porti in tavola, se vuoi fare scelte più consapevoli per te, per l’ambiente e per gli animali, allora queste informazioni sono fondamentali. Conoscere davvero il latte – che sia vaccino o vegetale – significa sapere cosa stai bevendo, capire chi lo produce, valutare come viene lavorato.
In un’epoca in cui tutto è etichettato come “naturale”, “bio” o “green”, distinguere il marketing dalla realtà è diventato un atto di responsabilità. E forse anche un piccolo gesto rivoluzionario.