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Roma, il Jackie O' rilancia il ristorante

Riprende la Dolce Vita romana con il Jackie O'



Quando parliamo di Dolce Vita, siamo negli anni ’60, in una Roma felliniana dove Mastroianni incarna le debolezze e i limiti di una mondanità affascinante e dove Via Veneto, tra grandi alberghi, club e ristoranti, diventa il simbolo di una vita esclusiva. La scia di un’epoca indimenticabile vive ancora non solo nella cinematografia, ma continua a evolvere in quell’intreccio di strade e traverse dove c’è tutta la storia di una città mondana. Il Jackie O’, lo storico locale di via Boncompagni, è uno di quei nomi che ha traghettato la bellezza leggera di quelle notti a oggi. Un Club incredibilmente rimasto originale, custodito nel suo gusto e alla luce delle sue strobo che, fino all’alba, fanno ancora cantare e ballare con i live alle tastiere.

Il Locale

Veronica Iannozzi però aveva un sogno nel cassetto: rilanciare quella parte di locale che si snoda oltre il club e che va fino al Piano Bar, ristrutturando e restituendo nuova vita al suo ristorante. Quando scendi le scale sotto il neon giallo dove campeggia un orgoglioso I’m Jackie O’, ti senti già un po’ esclusivo anche tu. Hai messo la giacca e scendi quelle scale in un’atmosfera avvolgente, dai toni scuri ma caldi e ad accoglierti trovi un braciere acceso che significa casa. Gli ambienti sono eleganti, lineari e dai toni che si alternano tra il nero e la luce sapientemente giocata. Sale grandi e tavoli ben distribuiti, il legno rimane l’elemento prevalente e ha il suo fascino. In questa nuova veste, Veronica ha concentrato tutta la voglia di essere quel passaggio generazionale della storia che porta con sé. Ha rispettato le atmosfere con grande cura, ha immaginato un locale dal tono raffinato, dal sorriso malizioso e, con tutta l’anima di quel Jackie O’ che oggi ha nelle gesta, una nuova veste gastronomica.

La Sala

Siamo immersi nella storia della ristorazione. Camerieri consolidati con il completo scuro, movimenti sempre precisi e sicuri, una sensazione in equilibrio tra l’appagante e lo stravagante. Lo stile è quello degli anni ’80, dove Gianni (il Direttore di Sala) non è solo l’uomo sorridente che, con eleganza, ti racconta dove sei e cosa andrai a mangiare o bere, ma è il depositario di una cultura gastronomica ormai persa quasi ovunque nei ruoli di sala. Il servizio al tavolo, a seconda dei piatti ordinati, prevede il classico carrello sul quale sporzionare un filetto, lavorare una tartare, cuocere alla lampada un riso pilaf o una crepe suzette davanti ai tuoi occhi. Una maestria ipnotica e affascinante, un’esperienza che gode della sua unicità e in cui ci si lascia coinvolgere con gusto. Gianni, cercatelo, sarà il prezioso custode della vostra esperienza.

Una cucina per due

Nella mitologia culinaria si narra spesso di chef talentuosi, talmente talentuosi e così fortemente centrati sul proprio stile, che difficilmente riescono a condividere quelle cucine in cui passano le loro lunghe giornate. Salvo poi prendersi il piacere di farlo saltuariamente. Veronica invece prende la sua cucina affacciata al braciere d’ingresso e dentro ci mette due chef: Federico Sparaco e Stiven Toro. Non si alternano, quei due, ma lavorano spalla a spalla ogni giorno, concependo insieme i piatti e giocandosi i ruoli, a sentirli parlare e a vederli scherzare, senza nessuna aspirazione a prevalere sull’altro. Federico Sparaco è l’incarnazione granitica della tradizione. Stiven Toro è l’irrequieta spinta dell’innovazione. Partiamo dal menu degustazione, il “Dolce Vita”, che viene studiato per essere al centro di un viaggio negli anni e negli strascichi esclusivi di quel periodo. cocktail di gamberi, vitello tonnato, Riso al salto, Filetto e tiramisù classico. In attesa delle Pennette alla Vodka, che mi hanno promesso metteranno, ho trovato sapori decisi, giusti equilibri, esecuzioni tradizionali in piatti che spaziano nelle tradizioni e che riportano a tavola la curiosità di poter mangiare qualcosa di diverso. In carta invece la tradizione rompe gli schemi e la creatività se ne approfitta. Le sfere di manzo croccanti, se mangiate inseguendo la sfida di una scomposizione dispettosa, trasformano delle classiche polpette di bollito in una buona rivisitazione della coda alla vaccinara. Il carciofo alla Giudia, con broccoletti e crema cacio e pepe, da pucciare a parte, è una sfiziosità da provare. Le fettuccine di castagna, fatte in casa con il ragù di faraona alla cacciatora, alternano sapidità e dolcezza in maniera avvolgente; mentre il Riso al salto, sapientemente preso in prestito dalla tradizione piemontese, con zafferano e riduzione di osso buco, ruba grazie al croccante la sensazione più ampia di appagamento. Sulla carne ci si può davvero divertire, ve lo ricordate il braciere all’ingresso? Non solo Chateaubriand quindi, ma anche Costata di manzo argentino, filetto di Marango, Tomhawak di Scottona. Per chi amasse la cucina di mare, tra un Carpaccio di Gambero Rosso, un Moscardino fritto e dei Gamberi al curry, può provare una gustosa Ombrina alla puttanesca e un baccalà cotto a bassa temperatura con patate dolci americane, polvere di liquirizia e Finger lime. Un’identità gastronomica che rispecchia la voglia degli chef di sorprendere, a volte con quell’impeto che può sicuramente evolvere e affinarsi. Federico Sparaco e Stiven Toro hanno raccolto una sfida unica e la sensazione a tavola, tra tecnica e talento, è quella stimolante di esserne partecipi.
Perché il Jackie O'? Perché è un’esperienza completamente diversa. Perché entrare in questo ristorante e trovarsi in un ambiente elegante, con una cucina divertente e lo stile di servizio che vanta, va oltre il nome del club (che comunque per chi vuole rimane lì). Perché il piano bar dopo cena è un’altra cosa che non vedrete mai altrove.

Contatti

Jackie O'

Via Boncompagni 11, Roma
06.42885457
info@jackieoroma.com
www.jackieoroma.com

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