Sulle tracce del Francavilla: il mio incontro con Amalberga e il suo vino ritrovato
Una giovane appassionata racconta il Francavidda 2024 di Amalberga, vino che riporta alla luce un vitigno quasi scomparso e oggi protagonista nel calice.

Quando mi parlano di vitigni minori, quelli rimasti ai margini per anni, sento sempre una specie di brivido. Forse perché amo le storie che rischiano di perdersi e poi tornano a farsi sentire, magari con un carattere più deciso di prima. È esattamente quello che ho provato davanti al francavilla, un’uva che appartiene alla Valle d’Itria e che oggi rinasce grazie al lavoro attento dell’azienda Amalberga a Ostuni.
Il loro Icona d’Itria Francavidda Puglia IGT 2024 è uno di quei vini che non si limitano a riempire un calice: raccontano un intento, una ricerca, un percorso. Una rinascita, in fondo. Dario De Pascale, fondatore della cantina insieme ai soci Roberto Fracassetti e Roberto Candia, parla di questo progetto con una luce negli occhi che non si può fraintendere. Mi ha colpito soprattutto la convinzione profonda che quest’uva meriti un nuovo spazio, un nuovo racconto. E i riconoscimenti arrivati – come la presenza nella Top Hundred 2025 di ilGolosario – dicono che la direzione è quella giusta.
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Un vitigno quasi dimenticato che torna a parlare
Il francavilla è una varietà che si pensava destinata a scomparire. Invece, sulle colline di Ostuni, ha trovato una seconda casa. Il vigneto di Casale Mindelli sorge a 300 metri d’altitudine e guarda idealmente verso il mare Adriatico, a pochi chilometri in linea d’aria. Il clima altalenante, con escursioni termiche marcate, dà al vino una tensione interessante, mentre i terreni ricchi di scheletro calcareo e minerali gli regalano quel tratto sapido che riconosci subito.
Le viti, ancora giovani, crescono fitte e disciplinate. Le rese sono basse, studiato per concentrare ciò che conta davvero. La vendemmia avviene in più passaggi, seguendo il ritmo dell’uva, non il calendario. In cantina tutto è pensato per preservare la fragranza: pressatura soffice, uso dell’azoto per proteggere il mosto, fermentazione lenta e controllata. Poi cinque mesi di riposo sulle fecce fini, con bâtonnage a dare profondità. Due mesi in bottiglia e il vino prende voce.

Il sorso che non ti aspetti
Nel calice si presenta con un giallo verdolino luminoso, di quelli che ti invogliano a portarlo al naso. E infatti lì si apre in modo sorprendente: note sulfuree eleganti, frutta tropicale, sensazioni quasi tattili. Al palato mantiene la promessa, ma con delicatezza: struttura fine, freschezza ben integrata, sapidità lunga, pulita, persistente. È uno di quei bianchi che ti restano in mente perché hanno una linea chiara, precisa, senza mai essere aggressivi.
Servito a 10-12 °C, diventa un compagno perfetto per piatti di mare – dalle crudité di crostacei alle preparazioni più semplici – ma anche per carni bianche e proposte vegetariane, soprattutto quelle che giocano con le erbe e le verdure croccanti. Versatile, sì, ma sempre con la sua impronta riconoscibile.

Perché questo vino mi ha colpita
Forse perché nasce da un vitigno che poteva perdersi, e invece oggi torna a parlare al presente. Forse perché Amalberga dimostra che recuperare un’uva non significa guardare indietro, ma costruire un percorso nuovo. O forse perché in ogni sorso sento quella Valle d’Itria che amo: luminosa, rossa di terra, sospesa tra mare e ulivi.
E poi c’è una cosa che apprezzo sempre: quando un progetto enologico cresce con coerenza. Accanto al Francavidda, infatti, anche il loro Negroamaro Rosato 2024 ha ricevuto attenzione, ottenendo il Premio Qualità/Prezzo della guida Berebene 2026 del Gambero Rosso. Segno che qui non si lavora solo per fare un vino che colpisca, ma per costruire una identità solida e credibile.

Dove trovarlo
Icona d’Itria Francavidda 2024 è disponibile nello shop online della cantina nei formati da 0,75 L (25 euro) e magnum (45 euro).