Il Sereno di Torno: eleganza senza tempo sul Lago di Como
Design di Patricia Urquiola, giardini di Patrick Blanc e la cucina stellata di Raffaele Lenzi rendono Il Sereno un gioiello unico sul Lario.
Quanti sono i luoghi in grado di affascinare per la loro eleganza assoluta, al di là di ogni ragionevole dubbio? Certo, esistono i gusti di ciascuno, ma è davvero faticoso non subire il fascino seduttivo che offre la combinazione dei caratteri distintivi de Il Sereno a Torno, sul lago di Como, che a guardarlo dentro sembra più una grande, moderna abitazione.
In riva al lago, Villa Flora, un vecchio tre stelle dedicato alla celebrazione di eventi, tra matrimoni, comunioni e cresime di tutta la popolazione del lago, è stata trasformata radicalmente per diventare un resort a 5 stelle lusso sui generis, perfettamente integrato nel verde circostante, con i magnifici giardini realizzati da Patrick Blanc, botanico francese, sistemati alla perfezione ogni settimana.
Dopo cinque anni di lavori, Il Sereno ha aperto nell’agosto del 2016 con un matrimonio da jet set, quello del CEO di Spotify Daniel Ek, con invitati del calibro di Mark Zuckerberg di Facebook; incaricata della concezione degli interni dalla famiglia venezuelana proprietaria, i Contreras, l’architetta e designer Patricia Urquiola, che ha saputo donare leggerezza e personalità a un ambiente in cui il lusso è tutt’altro che ostentato, pur celandosi dietro ogni prezioso dettaglio, realizzato dai migliori artigiani italiani.
Quaranta spaziose suite dotate di ogni comfort, tra cui la Signature Penthouse, la prima in Europa a presentare pezzi di design acquistabili, una SPA ricavata da una darsena antica e un ristorante con una stella Michelin, di fatto pieds dans l’eau.
Meravigliosa novità di quest’anno, infine, la Listening Suite, ispirata alle sale d’ascolto del Giappone, dove si potranno ascoltare i vinili della collezione curata dal proprietario Luis Contreras, con una qualità del suono eccelsa data da un sistema audio ad alta fedeltà d’epoca che comprende un amplificatore di oltre duecento chilogrammi di peso.
Se a pranzo si può gustare in terrazza una cucina regionale italiana eseguita a regola d’arte, alla sera, in un ambiente particolarmente suggestivo con i grandi archi della darsena in pietra di Moltrasio, va in scena la cucina di Raffaele Lenzi, solido professionista campano, sempre più in forma a nostro giudizio.
Lo chef Raffaele Lenzi
Classe 1984, Lenzi è attualmente corporate chef del gruppo Sereno Hotels, che comprende Le Sereno a Saint Barth, ai Caraibi. Nato e cresciuto a Napoli, appassionato sportivo, inizia a lavorare con lo zio pasticciere, senza immaginare che lì sarebbe iniziato il suo percorso per diventare cuoco.
Fa anche un’esperienza di qualche anno in laboratorio teatrale e, a 18 anni, dopo il diploma, parte per Londra senza avere un’idea precisa su quel che sarebbe accaduto, ma finisce nei posti giusti e da lì partono i suoi viaggi.
Arriva a New York, torna in Italia prima da Bruno Barbieri a Villa del Quar, poi da Luca Marchini a Modena, al Bulgari a Milano con Elio Sironi, dove inizia a masticare di hotellerie.
Ancora al Rossellinis di Palazzo Sasso a Ravello con Pino Lavarra, a Villa Feltrinelli con Stefano Baiocco: «è lui che mi ha dato il la». Collabora all’apertura di Armani a Milano: «avevo ventisette anni, mi sono ritrovato da solo e avrò perso sei o sette chili», poi apre un locale, ma non funziona e così va a fare lo chef di cucina al Seven Stars in Galleria.
Trova infine quella che sarebbe diventata la sua dimensione qui a Torno.
Il ristorante e la carta dei vini
Il Sereno al Lago è un ristorante di notevole caratura: dall’ambiente incantevole, al personale di servizio giovane e di rara gentilezza, a una carta dei vini importante, con le sue ottocento referenze tra le quali prevalgono l’Italia – sia con i nomi importanti sia con piccoli produttori di nicchia – e gli champagne.
Vale la pena lasciarsi consigliare da Francesco Martinello, giovane ma già esperto sommelier.
Menu e piatti
La cucina di Raffaele Lenzi è raro esempio di grande personalità, declinata in tre percorsi di degustazione oltre alla carta (a partire da 2 piatti e un dolce a 135 euro), connotata da scelte in cui il vegetale gioca un ruolo fondamentale, come nel caso del menu “Vegetali, Tuberi e Radici” (160 euro), insieme a una selezione accuratissima di materie e prodotti.
C’è poi “Omaggio alla Tradizione” (175 euro): cinque piatti della cucina italiana rivisitati in chiave contemporanea.
E infine “A Modo Mio” (210 euro), sette portate che insieme rappresentano in modo esaustivo l’idea gastronomica di Lenzi.
Italia e Asia sono pilastri fondamentali di uno stile concreto, diretto e mai velleitario, che unisce leggerezza e profondità di gusto, alta tecnica e altrettanto intelligente immediatezza.
Alcuni piatti in degustazione
Dopo una notevole sequenza di amuse-bouche, arrivano piatti come il fresco ceviche di dentice con spuma di sedano bianco di Sperlonga e polvere di alga codium, con olio al peperoncino e olio al coriandolo.
Squisiti i tortelli méchoui, in cui l’Italia della pasta e l’agnello speziato in stile nordafricano, insieme alle sfere di tè alla menta, producono uniti un risultato di grande gola.
Il riso alla pescatora – non un risotto, ci tiene a specificare lo chef – è un’altra deliziosa interpretazione, con il cereale leggermente sgranato, cotto in un brodo di molluschi e crostacei e, una volta asciutto, mantecato con un garum di pesce e una crema di molluschi bivalvi; alla base, cannolicchio crudo, polvere di alghe e ventose di polpo saltate.
Fish and meat prosegue sulla linea dell’intensità gustativa e dell’armonia, con il rombo marinato per tre giorni in grasso di Rubia Gallega e miso d’orzo, poi cotto a vapore, passato leggermente con il cannello e glassato con fondo di manzo e pollo con aggiunta di katsuobushi; mole verde realizzato con friggitelli e con pelle di pollo croccante allo spiedo con erbe aromatiche completano l’opera.
Un assaggio di scarola ripassata con sedano rapa e salicornia ci fa capire quanto sia accurato il lavoro di Lenzi sulle verdure.
Ancora, buonissimo, il tempeh di fagioli zolfini passato al barbecue come una costina di maiale e glassato con salsa barbecue fatta in casa: a completare, bruscandoli e un ristretto di cavolfiore, insieme a una crema delle parature del tempeh.
Uno dei dolci più buoni dell’anno è l’originale interpretazione che lo chef ha voluto fare della Fiesta, celebre merendina degli anni ’80: un french toast al grano arso aromatizzato con arancia e fiori di sambuco in agrodolce e servito con un gelato di stracciatella al cioccolato e Cointreau.